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domenica 3 giugno 2012

Crollo e caduta dell'Euro

È solo di qualche giorno fa l'articolo del giornale americano New York Times che descrive come le banche del mondo si stanno preparando ad un imminente crollo dell'euro e ora anche il quotidiano inglese Daily Telegraph rivela delle manovre preventive del ministero degli esteri britannico in vista della fine dell'eurozona.
Il New York Times dice senza troppi giri di parole che grandi colossi bancari americani come Citigroup e Merrill Lynch oltre a dismettere tutti i titoli di stato dell'eurozona, si stanno già organizzando per il crollo dell'euro, che in assenza di importanti interventi politici da parte dell'Unione Europea, potrebbe essere già in crisi entro le prossime due settimane.
Fonti delle banche britanniche Barclays Capital e Royal Bank of Scotland rivelano che “la crisi finanziaria dell'eurozona è entrata in una fase molto più pericolosa e un crollo dell'euro appare adesso probabile piuttosto che possibile”.
Altre grandi banche di Hong Kong e la banca giapponese Nomura stanno facendo degli stress test dei propri istituti bancari in previsione del crollo dell'euro e hanno intensificato il monitoraggio dell'esposizione delle banche asiatiche nei titoli di stato europei e dei depositi in euro.
Ma le rivelazioni più allarmanti arrivano dalla Gran Bretagna, dove il funzionario Andrew Bailey della Financial Services Authority ammette che “non può essere ignorata la prospettiva di un'uscita disordinata di alcuni paesi dalla zona euro” e in previsione di questo evento catastrofico devono essere messe a punto tutte le misure di emergenza da attuare con rapidità.
Il quotidiano britannico Daily Telegraph riporta le preoccupazioni di alcune fonti anonime del ministero degli esteri inglese secondo cui “l'euro si potrebbe distruggere in poche settimane e l'evento scatenante può essere il fallimento di una grande banca, la caduta di un governo, un altro flop in un'asta dei titoli europea, dopo quella della Germania di mercoledì scorso”.
Il dipartimento inglese del Foreign e Commonwealth Office ha inviato alle ambasciate e ai consolati della Gran Bretagna che si trovano in territorio dell'eurozona precise istruzioni di comportamento in caso di scenari estremi che includono rivolte, sommosse e proteste popolari successive al crollo dell'euro e al fallimento a catena delle banche europee, che scatenerebbe la rabbia dei clienti e la corsa agli sportelli.
Secondo le parole di un importante ministro inglese la Gran Bretagna si sta preparando al peggio e dichiara che il crollo dell'euro è ormai solo una questione di tempo, mentre il giornale aggiunge che “alla diplomazia estera inglese è stato anche detto di prepararsi ad aiutare decine di migliaia di cittadini britannici nei paesi della zona euro per le conseguenze di un collasso finanziario che non gli darebbe la possibilità di accedere a conti bancari o anche a prelevare contanti”.
Senza volere scatenare il panico, è giusto quindi informare i cittadini europei di quello che sta accadendo nelle istituzioni estere, che guardando da fuori la situazione hanno sicuramente una visuale più obiettiva e realistica rispetto ai politici e banchieri europei, che continuano ad ignorare la possibilità di un crollo improvviso dell'euro e ad ostentare fiducia nella moneta unica e nel progetto dell'Unione Europea.

Corona Norvegese, la nuova moneta rifugio se cade l'Euro

Non è solo il livello di indebitamento della Grecia a preoccupare, anche il debito delle più solide economie dell’Eurozona è infatti considerevolmente cresciuto negli ultimi 18 mesi. Il problema dell’eccessivo indebitamento infatti non coinvolge più solo le economie maggiormente fragili come Grecia, Portogallo, Irlanda e Italia ma si estende ora anche a Francia e a Germania. Questo fenomeno sembra aver colpito anche le economie europee al di fuori dei confini dell’area euro, tradizionalmente considerate “sicure”, come ad esempio la Svizzera.
Se anche le economie europee più solide cedono a fronte dell’eccessivo indebitamento, è allora lecito aspettarsi che, in uno scenario di rallentamento economico (che non si può ancora escludere nonostante il miglioramento degli ultimi mesi), i tradizionali paesi del “fly to quality” (cioè il fenomeno di spostamento della liquidità verso investimenti con il massimo grado di sicurezza), che storicamente sono stati: Svizzera, Germania, Olanda e Francia, potrebbero risultare meno appetibili che in passato.

A tal proposito osserviamo che l’unica economia del Vecchio Continente a non avere problemi di debito è la Norvegia; caratterizzata da un PIL pari a 100 miliardi di dollari e contestualmente da una capitalizzazione del Fondo sovrano, Government Pension Fund of Norway, più di quattro volte superiore al valore del PIL, ovvero 455 miliardi di dollari. Ricordiamo che il Fondo sovrano norvegese è costituito dai proventi derivanti dalla vendita del petrolio.

L’analisi della situazione norvegese risulta particolarmente interessante, poiché la corona norvegese potrebbe in futuro rappresentare la cosiddetta “valuta rifugio” in un contesto in cui l’eccessivo indebitamento, che coinvolge ormai la maggior parte delle economie dell’Eurozona, potrebbe avere come conseguenza un indebolimento della valuta comune (cosa già in parte successa nelle ultime settimane). Perché ciò accada, dovranno comunque modificarsi le dinamiche di mercato manifestatesi negli ultimi due anni.
La corona norvegese infatti ha subìto un’ampia svalutazione in occasione della crisi, come si vede nel grafico che riporta l’andamento del tasso di cambio euro-corona negli ultimi due anni. E’ evidente come in concomitanza con l’aggravarsi della crisi la valuta norvegese abbia subìto una svalutazione via via più significativa, man mano che gli investitori si spostavano dalle valute “periferiche” all’euro. Il picco massimo della svalutazione è stato raggiunto nel dicembre del 2008 quando è stato superato il livello di 10.

Ci sembra tuttavia che sussistano segnali che indicano un mutamento del rapporto di forze tra le due valute. Dal 2009 infatti il tasso di cambio sta gradualmente rientrando e attualmente registra un valore pari a 8,1540, al di sotto della media degli ultimi due anni (8,2077), a dimostrazione della forza della valuta norvegese e contestualmente della debolezza dell’euro.

A favore dell’ipotesi di utilizzare la corona norvegese come valuta rifugio inoltre, intervengono anche considerazioni in merito alla quotazione dei credit default swap (CDS) dei paesi europei tradizionalmente più “sicuri”.
Prendendo ad esempio la quotazione dei CDS di Svizzera, Germania e Norvegia negli ultimi due anni, il confronto (vedi il grafico) evidenzia come la Norvegia abbia continuato a quotare al di sotto sia della Germania sia della Svizzera, con un differenziale che nelle ultime settimane continua ad aumentare. Attualmente il CDS della Norvegia quota infatti a 21 punti base contro i 35 della Germania e addirittura i 62 della Svizzera.

Ciò significa che il mercato reputa la Svizzera sicuramente più rischiosa rispetto a Germania e Norvegia. Per quanto riguarda queste due ultime economie si osserva come fino al momento precedente l’esplosione della crisi finanziaria, i CDS fossero quotati praticamente allo stesso livello. Con l’intensificarsi della crisi hanno seguito il medesimo andamento sebbene il prezzo del CDS tedesco sia aumentato più che proporzionalmente.
Ci sembra quindi interessante osservare come attualmente si stia assistendo ad un ampliamento del differenziale tra Germania/Svizzera e Norvegia, a dimostrazione che l’eccessivo indebitamento delle economie dell’Eurozona sta producendo effetti negativi sul benchmark europeo. La Norvegia, invece, risulta essere indipendente da tali fenomeni, e questo rappresenta il motivo per cui riteniamo interessante considerare la sua valuta una valida opportunità in ottica difensiva per la diversificazione monetaria del proprio portafoglio di investimento.