Non è solo il livello di indebitamento della Grecia a preoccupare, anche il debito delle più solide economie dell’Eurozona è infatti considerevolmente cresciuto negli ultimi 18 mesi. Il problema dell’eccessivo indebitamento infatti non coinvolge più solo le economie maggiormente fragili come Grecia, Portogallo, Irlanda e Italia ma si estende ora anche a Francia e a Germania. Questo fenomeno sembra aver colpito anche le economie europee al di fuori dei confini dell’area euro, tradizionalmente considerate “sicure”, come ad esempio la Svizzera.
Se anche le economie europee più solide cedono a fronte dell’eccessivo indebitamento, è allora lecito aspettarsi che, in uno scenario di rallentamento economico (che non si può ancora escludere nonostante il miglioramento degli ultimi mesi), i tradizionali paesi del “fly to quality” (cioè il fenomeno di spostamento della liquidità verso investimenti con il massimo grado di sicurezza), che storicamente sono stati: Svizzera, Germania, Olanda e Francia, potrebbero risultare meno appetibili che in passato.
A tal proposito osserviamo che l’unica economia del Vecchio Continente a non avere problemi di debito è la Norvegia; caratterizzata da un PIL pari a 100 miliardi di dollari e contestualmente da una capitalizzazione del Fondo sovrano, Government Pension Fund of Norway, più di quattro volte superiore al valore del PIL, ovvero 455 miliardi di dollari. Ricordiamo che il Fondo sovrano norvegese è costituito dai proventi derivanti dalla vendita del petrolio.
L’analisi della situazione norvegese risulta particolarmente interessante, poiché la corona norvegese potrebbe in futuro rappresentare la cosiddetta “valuta rifugio” in un contesto in cui l’eccessivo indebitamento, che coinvolge ormai la maggior parte delle economie dell’Eurozona, potrebbe avere come conseguenza un indebolimento della valuta comune (cosa già in parte successa nelle ultime settimane). Perché ciò accada, dovranno comunque modificarsi le dinamiche di mercato manifestatesi negli ultimi due anni.
La corona norvegese infatti ha subìto un’ampia svalutazione in occasione della crisi, come si vede nel grafico che riporta l’andamento del tasso di cambio euro-corona negli ultimi due anni. E’ evidente come in concomitanza con l’aggravarsi della crisi la valuta norvegese abbia subìto una svalutazione via via più significativa, man mano che gli investitori si spostavano dalle valute “periferiche” all’euro. Il picco massimo della svalutazione è stato raggiunto nel dicembre del 2008 quando è stato superato il livello di 10.
Ci sembra tuttavia che sussistano segnali che indicano un mutamento del rapporto di forze tra le due valute. Dal 2009 infatti il tasso di cambio sta gradualmente rientrando e attualmente registra un valore pari a 8,1540, al di sotto della media degli ultimi due anni (8,2077), a dimostrazione della forza della valuta norvegese e contestualmente della debolezza dell’euro.
A favore dell’ipotesi di utilizzare la corona norvegese come valuta rifugio inoltre, intervengono anche considerazioni in merito alla quotazione dei credit default swap (CDS) dei paesi europei tradizionalmente più “sicuri”.
Prendendo ad esempio la quotazione dei CDS di Svizzera, Germania e Norvegia negli ultimi due anni, il confronto (vedi il grafico) evidenzia come la Norvegia abbia continuato a quotare al di sotto sia della Germania sia della Svizzera, con un differenziale che nelle ultime settimane continua ad aumentare. Attualmente il CDS della Norvegia quota infatti a 21 punti base contro i 35 della Germania e addirittura i 62 della Svizzera.
Ciò significa che il mercato reputa la Svizzera sicuramente più rischiosa rispetto a Germania e Norvegia. Per quanto riguarda queste due ultime economie si osserva come fino al momento precedente l’esplosione della crisi finanziaria, i CDS fossero quotati praticamente allo stesso livello. Con l’intensificarsi della crisi hanno seguito il medesimo andamento sebbene il prezzo del CDS tedesco sia aumentato più che proporzionalmente.
Ci sembra quindi interessante osservare come attualmente si stia assistendo ad un ampliamento del differenziale tra Germania/Svizzera e Norvegia, a dimostrazione che l’eccessivo indebitamento delle economie dell’Eurozona sta producendo effetti negativi sul benchmark europeo. La Norvegia, invece, risulta essere indipendente da tali fenomeni, e questo rappresenta il motivo per cui riteniamo interessante considerare la sua valuta una valida opportunità in ottica difensiva per la diversificazione monetaria del proprio portafoglio di investimento.
Se anche le economie europee più solide cedono a fronte dell’eccessivo indebitamento, è allora lecito aspettarsi che, in uno scenario di rallentamento economico (che non si può ancora escludere nonostante il miglioramento degli ultimi mesi), i tradizionali paesi del “fly to quality” (cioè il fenomeno di spostamento della liquidità verso investimenti con il massimo grado di sicurezza), che storicamente sono stati: Svizzera, Germania, Olanda e Francia, potrebbero risultare meno appetibili che in passato.
A tal proposito osserviamo che l’unica economia del Vecchio Continente a non avere problemi di debito è la Norvegia; caratterizzata da un PIL pari a 100 miliardi di dollari e contestualmente da una capitalizzazione del Fondo sovrano, Government Pension Fund of Norway, più di quattro volte superiore al valore del PIL, ovvero 455 miliardi di dollari. Ricordiamo che il Fondo sovrano norvegese è costituito dai proventi derivanti dalla vendita del petrolio.
L’analisi della situazione norvegese risulta particolarmente interessante, poiché la corona norvegese potrebbe in futuro rappresentare la cosiddetta “valuta rifugio” in un contesto in cui l’eccessivo indebitamento, che coinvolge ormai la maggior parte delle economie dell’Eurozona, potrebbe avere come conseguenza un indebolimento della valuta comune (cosa già in parte successa nelle ultime settimane). Perché ciò accada, dovranno comunque modificarsi le dinamiche di mercato manifestatesi negli ultimi due anni.
La corona norvegese infatti ha subìto un’ampia svalutazione in occasione della crisi, come si vede nel grafico che riporta l’andamento del tasso di cambio euro-corona negli ultimi due anni. E’ evidente come in concomitanza con l’aggravarsi della crisi la valuta norvegese abbia subìto una svalutazione via via più significativa, man mano che gli investitori si spostavano dalle valute “periferiche” all’euro. Il picco massimo della svalutazione è stato raggiunto nel dicembre del 2008 quando è stato superato il livello di 10.
Ci sembra tuttavia che sussistano segnali che indicano un mutamento del rapporto di forze tra le due valute. Dal 2009 infatti il tasso di cambio sta gradualmente rientrando e attualmente registra un valore pari a 8,1540, al di sotto della media degli ultimi due anni (8,2077), a dimostrazione della forza della valuta norvegese e contestualmente della debolezza dell’euro.
A favore dell’ipotesi di utilizzare la corona norvegese come valuta rifugio inoltre, intervengono anche considerazioni in merito alla quotazione dei credit default swap (CDS) dei paesi europei tradizionalmente più “sicuri”.
Prendendo ad esempio la quotazione dei CDS di Svizzera, Germania e Norvegia negli ultimi due anni, il confronto (vedi il grafico) evidenzia come la Norvegia abbia continuato a quotare al di sotto sia della Germania sia della Svizzera, con un differenziale che nelle ultime settimane continua ad aumentare. Attualmente il CDS della Norvegia quota infatti a 21 punti base contro i 35 della Germania e addirittura i 62 della Svizzera.
Ciò significa che il mercato reputa la Svizzera sicuramente più rischiosa rispetto a Germania e Norvegia. Per quanto riguarda queste due ultime economie si osserva come fino al momento precedente l’esplosione della crisi finanziaria, i CDS fossero quotati praticamente allo stesso livello. Con l’intensificarsi della crisi hanno seguito il medesimo andamento sebbene il prezzo del CDS tedesco sia aumentato più che proporzionalmente.
Ci sembra quindi interessante osservare come attualmente si stia assistendo ad un ampliamento del differenziale tra Germania/Svizzera e Norvegia, a dimostrazione che l’eccessivo indebitamento delle economie dell’Eurozona sta producendo effetti negativi sul benchmark europeo. La Norvegia, invece, risulta essere indipendente da tali fenomeni, e questo rappresenta il motivo per cui riteniamo interessante considerare la sua valuta una valida opportunità in ottica difensiva per la diversificazione monetaria del proprio portafoglio di investimento.
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